Pre-occupazione

Giorni di ozio preoccupato, che trascorrono più lentamente del solito. Ho qualcosa da dire, ma non ho nessuno a cui dirla, costretto a subire questa condizione di mutismo da parte di chi, chiudendosi dentro, mi ha chiuso fuori.

E sì, penso proprio che le parole chiave di questa occupazione siano chiusura-paura, che poi è il contrario di apertura-coraggio. Mi conoscete poco bacchettone, perciò mi concederete di ricordarmi di un uomo polacco che quando incontrava i giovani li esortava invece dicendo loro "Non abbiate paura" e insisteva invitandoli: "Aprite, anzi, spalancate le porte". Invece porte chiuse, catenacci e lucchetti e la cosa incredibile è che vi siate chiusi dentro da soli. Troppa paura. Vi intravediamo quando passate davanti alle finestre, incappucciati come monache di clausura, per paura che da fuori possiamo riconoscere in quella sagoma in controluce Luca o Sabrina o Nicola. Fa rabbia ripensare a tutta quella fatica per imparare i vostri nomi, e, ora che finalmente li so, vorreste che non vi conosca più.

Quando ero molto piccolo, avevo un sogno ricorrente nel quale ero angosciato nel rimanere chiuso di notte in un edificio enorme e privo di vie di uscita, che sapevo essere la mia scuola elementare, la Balilla del quartiere Madonnella. Può essere che stavo frecato come e più di voi, ma ricordo anche che nei momenti di tristezza trovavo sollievo a nascondermi sotto un tavolo, facendo finta che lì nessuno sarebbe stato capace di trovarmi, surrogato povero della casa in cima all'albero che avevo visto in qualche trasmissione della tv dei ragazzi. Poi l'incubo è cessato, proprio quando, ormai adolescente, ho scoperto la strada, ho preso piano piano fiducia in me stesso e non ho sentito più il bisogno di nascondermi. Se vado a scomodare Freud, il sogno è la realizzazione di un desiderio, e rimanere chiuso in un posto è ricco di simbologie che ci riportano ai tempi d'oro della nostra gestazione, quando la mamma era tutta per noi. Voglia quindi di tornare lì, ma il senso di angoscia nasce dal disagio nell'intuire che il processo avviato quando siamo "venuti alla luce" è irreversibile e tornare indietro in quel buio umido e caldo significherebbe rinunciare alla vita così faticosamente conquistata.

Mentre state a scuola, spesso vi taggate in qualità di ospiti di un carcere minorile. Ogni volta che lo fate è come una pugnalata, io che volevo fare questo mestiere per sciogliere catene, per liberarvi da Savinuccio, dalla droga e da un destino già scritto.

Ma le prigioni più inespugnabili sono quelle che ci costruiamo da soli. Da quelle dovete evadere con le vostre energie. Posso soltanto continuare ad osservarvi da lontano e sperare che uno alla volta prendiate coscienza della forza che è in ciascuno di voi e incominciate ad affrontare il mondo a viso aperto.

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