Concentrati, per fare tutto con amore

Nell'esperienza di insegnante viviamo la frustrazione quotidiana di incontrare giovani che non interagiscono con te come dovrebbero, anche se tu sei sicuro in coscienza che sei diventato il prof che avresti sempre desiderato avere, quello che propone contenuti interessanti con metodi innovativi, cose che farebbero saltare dalla sedia un moribondo.
Eppure bisogna continuamente riattirare l'attenzione, con uno spreco di energie che sarebbe stato meglio poter canalizzare nella gestione del dialogo educativo. Strani figuri minorenni escono ogni giorno dal letto caldo, prendono i mezzi pubblici e raggiungono cupi edifici scolastici per poi trascorrere cinque ore a polpastrellare un touch screen a volte senza neppure sfilare gli auricolari, considerando l'educatore, ma a volte anche il compagno di banco, come un oggetto di arredamento piuttosto che come un interlocutore. Tanto sarebbe valso restarsene a casa. Ah, se le mamme domandassero al ritorno a casa: "Che cosa hai fatto a scuola oggi?", come sarebbe veritiera quella risposta del bambino della pubblicità: "Niente!". E invece bisognerebbe avere il coraggio di intavolare una relazione, perché qualsiasi contatto con l'ambiente circostante mi farebbe tornare a casa leggermente diverso da come ero stamattina quando sono uscito. Purché ci si metta la concentrazione.

Massimo Troisi in "Scusate il ritardo" pretendeva di stare "a letto" con la propria donna ascoltando in sottofondo la radiocronaca della partita del Napoli.



Ma già Eric Fromm, in "L'arte di amare" (1957) ci ha spiegato una volta per tutte che "esser capaci di concentrarsi… è una condizione precisa per l’arte di Amare" (vedi qui il testo integrale).

Paradossalmente, la disponibilità di mezzi tecnologici orientati alla telecomunicazione, piuttosto che avvicinare i distanti, allontana i vicini, fa regredire l'uomo ad "animale asociale" e chiude ciascuno in una bolla autistica, una vera e propria prigione di autoreferenzialità.

Arriva perciò il momento il cui bisogna avere il coraggio di spegnere ciò che ci impedisce di concentrarci nel fare bene quello che stiamo facendo. Spegnere per riaccendere (o per ricominciare ad eccitarci, nel doppio senso dell'inglese, o a imprisciarci, nell'intraducibile espressione barese), come ben proposto da questo spot.



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